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BIOGRAFIA

Tra gli studi scientifici – la laurea in ingegneria – e l’apprendistato pittorico all’Accademia di Genova, sua città natale, si attua la prima formazione del pittore Tino Repetto.

Ma molto ha contato, in questa fase di chiarimento della propria vocazione artistica, la frequentazione di un autentico quanto misconosciuto pittore, Luigi Navone: uno di quegli schivi talenti come talora s’incontrano nella provincia italiana ed europea, e il cui passaggio segna al massimo poche coscienze.

Di quell’epoca il pittore Repetto ha conservato i doni della solitudine, del rapporto umano disinteressato, del sogno di fronte alla natura e alle cose.

La stagione dell’informale milanese (a Milano Repetto vive dal 1957), negli anni sessanta, è stata un passaggio obbligato per gli artisti migliori della generazione cui Repetto appartiene. Nato nel 1929, Repetto trovava congeniale sui trent’anni alla sua necessità di affondamento dell’immagine nella più profonda materia esistenziale quella radicalizzazione espressiva che l’informale proponeva in un’assoluta identità tra segni, materia pittorica ed esperienza.

Veniva così elaborando un’immagine in cui il tessuto materico agiva come un filtro che fa emergere le presenze incise nel profondo: ora dilavate, rese essenziali dal trapasso in quel connettivo pittorico che rappresentava la barriera opposta dalla coscienza al logorio del tempo.

Tassi nel ’63, Valsecchi nel ’66, la Cassa Salvi nel ’67, intuiranno il significato della pittura del giovane artista in quel suo volgere verso un’immagine di interiore densità, nel suo rifiuto d’ogni esteriore occasione. Arcangeli nel ’71 fornirà poi un’esauriente lettura di questa ricerca, che egli intese come una sorta di «nuova oggettività», pur tuttavia «impregnata d’una vicenda irremediabilmente individua». Fu proprio Arcangeli a indicare la qualità profondamente mentale della pittura di Repetto, rilevando come essa nascesse da una facoltà tutta personale della mente di «selezionare ogni cosa, di inquisire sugli andamenti e sulle decisioni». Alcune mostre di quegli anni – nel ’66 alla galleria de Le Ore a Milano, nel ’67 al Minotauro di Brescia, alla Morone e al Milione di Milano nel ’68 e nel ’71 – mostravano i risultati d’una ricerca che non poteva intendersi se non accogliendo le indicazioni di quella critica che invitava a cogliere i trapassi interni dell’immagine dell’artista nel variare del tono emozionale d’ogni singola opera sullo sfondo d’una singolare attitudine a distaccare l’immagine della più congestionata, diretta materia esistenziale.

Negli anni settanta Repetto veniva dunque sviluppando in modo del tutto personale l’originaria matrice informale. Nel 1976 Gianfranco Bruno notava che essa era venuta assumendo una particolare connotazione in cui interagivano i termini di materia-luce-struttura. Per quanto non esplicito, veniva indicato come possibile riferimento Rothko: verso quell’interna, insuperabile tensione, pareva infatti tendere la pittura di Repetto nello sforzo di sublimare mentalmente l’emozione e darsi in forma lucida ed oggettiva. La personale del ’78, alla galleria Bergamini di Milano, documentava sui raggiungimenti dell’artista. Altre personali si erano avute: nel ’73 alla galleria Correggio di Parma, alle Ore nel ’74 a Milano, nel ’75 al Comune di Alessandria, nel ’77 alla Mosaico di Chiasso. Sempre nel ’78 Repetto esponeva ancora alla Correggio di Parma, poi nell’81 alla Kunsthandel Rölant di Amsterdam e all’Immagine di Mendrisio. Infine, nel ’84, alla Galleria Bambaia di Busto Arsizio. In occasione di quest’ultima mostra Claudio Nembrini sottolineava il rigore con il quale Repetto attualizzava la sua esperienza sull’antica premessa informale.

Nella fase più recente l’artista ha per così dire reso più radicale il rapporto tra i termini propri alla sua pittura materia­luce-struttura: talora uno di essi sembra caratterizzare, come condizione espressiva dominante, un’intera serie di quadri. C’è un margine di rischio maggiore, nell’opera recente di Repetto, se essa ribalta l’assolutezza della sua precedente riflessione sul diluvio di segni, forme e presenze che premono sull’immaginario. Ciò che distingue tuttora la sua opera è il persistere dell’acquisita attitudine a distaccare l’immagine nell’astratta dimensione della mente: il che coincide infine con l’inalienabile qualità pittorica che essa presenta.

 

 

Queste note sono riprese dal catalogo della personale di Tino Repetto alla Galleria La Sanseverina di Parma,

del febbraio-marzo 1987, con pre­sentazione di Roberto TASSI.

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